martedì 20 aprile 2010

I Rom non rapiscono i bambini

Un'indagine condotta dalla Fondazione Migrantes, organizzazione della Cei che opera nei campi Rom, smentisce con decisione la percezione popolare della «zingara rapitrice».

Nei giorni della peste si gridava all'untore. Per secoli gli Ebrei sono stati incolpati di sacrificare bambini per riti di sangue. I Romanì invece sono ancora accusati di rapirli. Specialmente le donne, che indossando lunghe e larghe vesti potrebbero nascondere a meraviglia i piccoli gagè – cioè gli «altri», i non-Rom, rapiti alle loro madri in un mercato, in una via brulicante di persone o addirittura nella cameretta del neonato dopo esservi penetrate con una scusa.

Talvolta il «senso comune» contro la popolazione Romanì fa comodo per sviare le indagini su un delitto abominevole di pedofilia in famiglia o più banalmente per nascondere un incontro con l'amante. Questi non sono casi di fantasia e di colore narrativo. Gli spunti provengono dall'esame minuzioso e scientifico che Sabrina Tosi Cambini, ricercatrice dell'Università di Siena, ha condotto su quaranta casi di presunto sequestro o sparizione di minore, soffermandosi su sei di loro per i quali si è sviluppato un procedimento penale. "La zingara rapitrice" fa parte di una più ampia ricerca commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell'Università di Verona, cui hanno partecipato il Prof. Leonardo Piasere, quale direttore, e Carlotta Saletti Salza curatrice dello studio sugli affidamenti e adozioni di minori Rom o Sinti.

I casi sono stati individuati e analizzati partendo dall'archivio Ansa e arrivando alla consultazione dei fascicoli dei Tribunali, adottando, oltre a quella giuridica, più prospettive: etnografica, dell'antropologia giuridica ed etnometodologica. Il risultato principale è che non esiste nessun caso in cui si è commesso un rapimento. Nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell'infante effettivamente avvenuta e provata oggettivamente. Anche laddove si apre un processo, il fatto contestato è sempre qualificato come delitto tentato e non commesso, le cui circostanze aprono ad una complessa valutazione - all'interno della quale possono a volte far capolino le categorie del senso comune - dell'esistenza o meno della volontà dolosa. Comparando i casi studiati è possibile notare il ricorrere di poche variabili sia per quanto riguarda gli attori coinvolti che le dinamiche.

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