domenica 30 maggio 2010

Hanno la faccia come il culo/9

I doppi e tripli stipendisti a carico dello Stato sono uno scandalo che non può più continuare.

Il MoVimento 5 Stelle chiede le dimissioni di Roberto Rosso, deputato nella Capitale e assessore alla Regione Piemonte. Il Rosso (nativo di Casale Monferrato) era assente per la sua salute cagionevole durante la discussione della Finanziaria della Regione Piemonte. Per curarsi si era recato a Roma a votare alla Camera dei deputati. Il minimo che si possa chiedergli sono le dimissioni.

Rosso non è l'unico, ci sono centinaia di persone che depredano i soldi della comunità ricoprendo più incarichi. Verificherò con gli avvocati se ci sono gli estremi per una denuncia contro Roberto Rosso per false dichiarazioni.


Il blog pubblicherà, con il vostro aiuto, l'elenco dei pluristipendisti. Gente che mi fa venire il vomito. Gli stipendi degli statali, di media di poco superiori ai mille euro al mese, sono bloccati da Tremorti per tre anni mentre lui e i suoi sodali pasteggiano a caviale e champagne, per quanto ancora? La campanella sta suonando la fine della ricreazione.

(Beppe Grillo)

venerdì 21 maggio 2010

I Rom non sono dei fannulloni

Non si può negare che i membri dei gruppi Romanì abbiano maggiore difficoltà nell'accedere a un lavoro regolare. Questo però è dovuto a diversi fattori: il basso tasso di scolarizzazione e formazione professionale, la mancanza di stabilità abitativa che permetta di stabilire relazioni contrattuali coi datori di lavoro e la discriminazione, che in alcuni casi costringe a nascondere la propria appartenenza etnica, pena la negazione o la rescissione del rapporto di lavoro.

È anche noto che i Romanì che vivono nei campi nomadi hanno spesso impieghi informali nell'edilizia, in imprese di pulizia o si dedicano all'assistenza domestica e alla raccolta di materiali di scarto, quando addirittura non abbiano costituito cooperative di lavoro nei settori della sartoria, degli sgomberi di cantine, nel giardinaggio, nei servizi.

Tra le soluzioni lavorative dei membri delle comunità Romanì ci sono, per esempio, il Laboratorio di Cucito di Rho, la Cooperativa Artezian di Bari, il Laboratorio Manifatture Donne Rom e la Cooperativa Baxtalo-Drom di Roma, la Pistoia Radìa di Pistoia e la Cooperativa Laci Buti di Milano.

mercoledì 19 maggio 2010

★ Prima Situazione Spinosa - La cena

- Resti a cena?
- Oddio, non lo so...
- Se ti va resta, non c'è problema.
- Si dai!
- Va bene, resto.

E così resto a cena.
Ma non spiccico una parola, parlo solo se interrogato, a monisillabi, a bassa voce.
Se posso faccio cadere i discorsi.

(cazzo, questo è l'unico posto in cui mi metto a guardare la televisione)

Cerco di riparare sparecchiando la tavola, ma so bene che per espiare le mie colpe dovrei lavare i piatti per sei mesi. E comunque mi infastidisco, mi innervosisco, mi indispongo.
Quando non ne posso proprio più, saluto, ringrazio e me ne vado. E mi chiedo cosa diavolo sono rimasto a fare.

lunedì 17 maggio 2010

I Rom non sono una comunità chiusa

L'esperienza di organizzazioni che assistono le comunità Romanì non sembra confermare il timore che queste non permettano a nessuno di interagire con loro. Un chiaro esempio è quello dimostrato dall'associazione Popica che opera con le comunità Rom di Roma.

L'associazione ha dimostrato quanto la comunità Rom sia disposta ad integrarsi e interagire con le realtà sociali presenti nel territorio. La diffidenza, il distacco, la non integrazione indubbiamente esistono, ma potrebbe essere affrettato sostenere che le comunità romanì respingano ogni interazione.

Probabilmente sono gli atteggiamenti di entrambe le parti a portare a ciò ed è quindi probabile una corresponsabilità. Ma d'altro canto, poiché da una parte si trova uno Stato e dall'altra una piccola minoranza etnica, è compito proprio dello Stato creare le condizioni perché la minoranza si senta parte integrante della comunità, pur nel rispetto delle sue peculiarità.

Difficilmente chi è respinto ed isolato non sentirà avversione nei confronti di chi lo considera un estraneo, se non un nemico. La convivenza è un dato di fatto ineludibile, ed è quindi opportuno, oltre che umano, che ogni parte si adoperi perché sia la migliore possibile, a cominciare dalla parte che dovrebbe considerare ciò un principio basilare.

martedì 11 maggio 2010

★ Io e te siamo irriducibili

In matematica, una frazione irriducibile (o ai minimi termini) è una frazione in cui numeratore e denominatore non hanno divisori comuni.

domenica 9 maggio 2010

★ Prima Seconda - Sincerità

- Non venire.
- No, non vengo.
- Se vieni t'ammazzo!
- Ti ho detto che non vengo.
- Dimmelo se ti stimolo troppo, altrimenti smetto di muovermi.
- Stai tranquilla...
- Bravo, non venire, sennò m'attacco al cazzo come prima.
- ...

venerdì 7 maggio 2010

Lotto per mille

Riprendo l'idea di Mario Staderini pubblicata sul Blog di Metilparaben: richiedere formalmente al Ministro Tremonti come intende impiegare i soldi ricavati dall'assegnazione allo Stato dell'otto per mille.

Questo è il testo dell'email da inviare a Giulio Tremonti (tremonti_g@camera.it):

Oggetto:
Tremonti, quest'anno ce lo dica prima!

Testo:

Signor Ministro,

in vista della scelta di destinazione dell'otto per mille irpef, le chiedo di farmi sapere come lo Stato intende spendere i fondi riservati alla quota statale, e in particolare:

  • se anche quest'anno 80 milioni del fondo statale saranno sottratti ai loro scopi originari;
  • quale sarà la ripartizione tra le quattro diverse finalità previste dalla legge, ed in particolare quali quote si prevedono per il terremoto in Abruzzo, la fame nel mondo e l'assistenza ai rifugiati;
  • se tra gli interventi per il restauro dei beni culturali saranno esclusi quelli relativi a immobili ecclesiastici, già finanziati con il miliardo di euro annualmente versato alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

In attesa di un suo riscontro la saluto distintamente.

mercoledì 5 maggio 2010

La Sindone è un falso

La Sindone esposta in questi giorni a Torino è un falso. O meglio, è un vero telo di lino di produzione medioevale, ed è vero – al di là di ogni ragionevole dubbio – che non ha nulla, ma proprio nulla a che fare con il corpo di un profeta ebraico itinerante in Galilea ai tempi dell'imperatore Tiberio, morto per crocefissione a Gerusalemme sotto l'imputazione di lesa maestà all'Impero Romano.

In questo volume esponiamo una raccolta sommaria, ma già così inoppugnabile, delle prove storiche e scientifiche che escludono la possibilità contraria. Ciascuna di queste prove sarebbe sufficiente anche presa da sola, e tale sarebbe considerata da tutti se si trattasse di un qualsiasi altro reperto archeologico. Poiché però si tratta di un oggetto di culto, si continua pervicacemente a negare la validità conclusiva perfino della sinergia inaggirabile di tutte queste prove messe assieme.
Eppure, basterebbe confrontare quanto sappiamo dalla lettura critica dei vangeli sulla sepoltura di Gesù, per escludere che la Sindone di Torino abbia qualcosa a che fare con il suo corpo. Basterebbe confrontare quanto ricaviamo dalle sepolture ebraiche di quell’epoca per giungere ad analoga esclusione.

Basterebbe prendere atto che quando in epoca medioevale la Sindone compare per la prima volta, il primo vescovo che se ne occupa la presenta esplicitamente e tassativamente come un artefatto di un artista dell'epoca (dando perfino ad intendere che sia noto il «chi»). Basterebbe prendere atto che l'analisi del tessuto, delle fibre, della lavorazione, esclude che il telo sia collocabile per la sua produzione nella Palestina dell'occupazione romana, e affermi che le sue caratteristiche coincidono invece con i manufatti medioevali.

Basterebbe prendere atto che l'impronta di un volto umano avvolto in un lenzuolo, una volta che il lenzuolo venga steso, ha una larghezza pressoché doppia di quella della Sindone – è il noto effetto della maschera di Agamennone, che ciascuno può riprodurre con se stesso – e che lo stesso effetto di «dilatazione» dell'immagine, benché in misura minore, dovrebbe aversi anche per il resto del corpo.

Basterebbe riconoscere che i rivoli di sangue (presunto) avrebbero dovuto colare in direzioni completamente diverse, e del tutto diversi dovrebbero essere i segni (presunti) della flagellazione. Basterebbe prendere atto che la prova regina per ogni datazione di reperto archeologico, quella del carbonio 14, affidata dalla curia di Torino a tre laboratori internazionali di sua scelta, ha dato unanime e inequivocabile risultato: epoca medioevale, tra metà del Duecento e metà del Trecento.

Basterebbe prendere atto che tutti i tentativi per rimettere in discussione questi risultati, scoprendo pollini o monete ad hoc, sono stati tutti ridicolizzati da riscontri critici attenti e circostanziati (che il lettore paziente potrà trovare in questo volume). Basterebbe non dimenticare che la fede non dovrebbe aver bisogno di reliquie, come non smise mai di sottolineare la Riforma, che stigmatizzava il carattere feticistico e superstizioso di questa come di tante altre «devozioni popolari».

Basterebbe infine ricordare che fu il cardinal Ballestrero, arcivescovo di Torino, a riconoscere che l'esame al carbonio 14 segnava la parola fine ad ogni disputa e doveva essere accettata da tutti i credenti. Ma tutte queste evidenze, ciascuna delle quali già da sé risolutiva, non serviranno a nulla.

Chi oggi vive nell'Italia di Berlusconi e Ratzinger non vive in un paese dell'Europa moderna, tale perché ha metabolizzato tre secoli successivi all'Illuminismo, ma in un luogo geostoricamente oscuro e indefinibile, dove l'unica cosa certa è che il modello di razionalità e di scienza, quando va bene, è un'incredibile trasmissione di superstizioni chiamata Voyager, mentre l'accertamento dei fatti, lo spirito critico, l'uso della logica, sono additati urbi et orbi come il nemico e il male da cui libera nos. Amen.


(Paolo Flores D'Arcais, MicroMega)

lunedì 3 maggio 2010

I Rom non vogliono vivere nei campi

I Romanì sono considerati nomadi nonostante la stanzialità sia ormai attestata come scelta maggioritaria, in alcuni casi già dal '400. Anche in Italia la maggior parte di loro vorrebbe radicarsi in un territorio in conseguenza del venire meno, nell'economia contemporanea, del "prestigio sociale" delle attività professionali connesse alla loro secolare storia nomade (giostrai, venditori di cavalli, arrotini, circensi, etc.).

La definizione "nomade" contiene di per sé un elemento discriminatorio ed escludente in quanto tratta le persone di cultura Romanì, che risiedono permanentemente sul territorio, come nomadi. Il termine costituisce un nesso inscindibile con la discriminazione che subisce la popolazione Romanì ed è utilizzata spesso anche da parte governativa.

Il nomadismo è stato utilizzato dal legislatore in Italia per escludere le minoranze linguistiche, in particolare le comunità parlanti la lingua romanì, dai benefici della legge n. 482 del 1999 sulle "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche" che prevede l'uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative.

La
ECRI, nei suoi "rapporti sull'Italia", ha invitato diverse volte ad abbandonare, nelle "politiche a riguardo di Rom e Sinti", il "falso presupposto che i membri di tali gruppi siano nomadi", in base ai quali è attuata "una politica di segregazione dal resto della società" con l'istallazione di "campi nomadi", concepiti in base al principio della presenza temporanea dei Rom, in molti casi senza accesso ai servizi più basilari, favorendo la de-responsabilizzazione delle amministrazioni locali dal dover fornire servizi scolastici e sociali finalizzati all'integrazione.

sabato 1 maggio 2010

Primo Maggio

Passano lenti. Un lampeggiar febbrile
arde a ciascun il ciglio.
Passan solenni e da le dense file
non si leva un bisbiglio.

Toccandosi le mani ognun di loro
cerca il vicin chi sia.
Se i calli suoi non vi segnò il lavoro,
quella è una man di spia.

Sotto l'aspra fatica e il reo destino
molti già son caduti,
molti il carcer ne tiene od il confino,
e pur sono cresciuti.

Striscia il gran serpe de la folla oscura
dei ricchi su le porte.
Dentro, ne lo stupor de la paura,
si ragiona di morte.

(Olindo Guerrini, 1845-1916)