martedì 2 novembre 2010

Iwao Hakamada

Iwao Hakamada è rinchiuso nel braccio della morte dal 1968. Al termine di un processo irregolare, è stato condannato per l'omicidio, avvenuto nel 1966, del proprietario della fabbrica per la quale lavorava, della moglie di lui e dei due figli della coppia.

L'omicida ha prima accoltellato tutti i membri della famiglia e successivamente ha dato fuoco alla casa in cui abitavano. Dopo venti giorni di interrogatori condotti dalla polizia, senza essere assistito da un avvocato, Hakamada ha confessato di essere l'autore del crimine. In seguito ha ritrattato e, durante il processo, ha dichiarato di essere stato percosso e minacciato dalla polizia che lo ha obbligato a firmare la confessione. Hakamada sostiene che la polizia l'abbia afferrato ripetutamente per i capelli e l'abbia schiaffeggiato durante gli interrogatori che duravano anche dodici ore al giorno.

Ciononostante è stato giudicato colpevole e condannato a morte nel 1968. I suoi appelli sono stati respinti dall'alta Corte di Tokyo nel 1976 e dalla Corte suprema nel 1980. Ugualmente sono state respinte le richieste per ottenere un nuovo processo dalla Corte distrettuale di Shizuoka nel 1994, dall'alta Corte di Tokyo nel 2004 e dalla Corte suprema il 24 marzo 2008. Nell'aprile del 2008 gli avvocati della difesa hanno presentato alla Corte distrettuale di Shizuoka un altro appello.

Nel 2007, Kumamoto Norimichi, uno dei giudici che ha condannato a morte Hakamada, ha dichiarato pubblicamente di ritenere che l'uomo sia innocente e di averne discusso, durante il processo, con gli altri due giudici che però al momento del voto lo hanno messo in minoranza.

Si ritiene che Hakamada sia stato condannato a morte prevalentemente sulla base di una confessione estorta con l'uso della forza. Un elemento chiave delle prove contro di lui è costituito da alcuni vestiti macchiati del sangue delle vittime ritrovati abbandonati, presso la fabbrica nella quale lavorava, in una cisterna contenente miso liquido. Sebbene fossero di misura troppo piccola per la corporatura di Hakamada, l'accusa li considera importanti poiché ritiene possibile si siano ristretti mentre si trovavano immersi nella cisterna. Secondo l'avvocato della difesa, il coltello che si ritiene Hakamada abbia usato per commettere gli omicidi è troppo piccolo per poter provocare ferite mortali, e la porta dell'abitazione attraverso la quale si pensa l'omicida sia entrato e uscito era chiusa a chiave.

Hakamada è tra i condannati rinchiusi da maggior tempo nel braccio della morte e soffre di disabilità mentale provocata dalle condizioni detentive che includono l'isolamento e la mancanza di comunicazione con gli altri detenuti. La sua esecuzione potrebbe avvenire in qualsiasi momento.

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