Mi fa sempre un certo effetto scoprire che alcune idee che ho per la testa sono state formalizzate e hanno pure un nome. È questo il caso di Parpuzio.
Come dicevo tempo fa, ho iniziato a giocare di ruolo nel 1987 e dopo un'infatuazione per D&D durata quasi un lustro ho preso a guardarmi intorno per vedere se ci fossero altri sistemi e ambientazioni interessanti. Da appassionato lettore di Lovecraft, la prima scelta è caduta su "Il richiamo di Cthulhu", tradotto di fresco dalla Stratelibri del compianto Ingellis. Al di là dell'ambientazione, tanto affascinante quanto complicata da gestire per via delle numerose relazioni col mondo reale contemporaneo, il primo scoglio da superare sono state le meccaniche, totalmente diverse da quelle della scatola rossa (seppure arricchita con varianti prese dai Gazetteer e dalle immancabili house rules). Da lì a sfogliare i manuali di AD&D, Stormbringer e GiRSA il passo è stato breve, ma l'esperienza ha portato con sé una riflessione: perché queste regole così differenti? Cosa cambia di fatto tra un gioco e l'altro, se non l'ambientazione? È realmente diverso tirare un dado da venti, uno da cento o estrarre una carta? Osservazione rafforzata dalla conoscenza di altri sistemi come GURPS o meglio ancora Sine Requie, che sfrutta i Tarocchi e in modo particolarmente intrigante gli Arcani Maggiori.
Visto che già all'epoca avevo individuato il mio interesse per i giochi di ruolo principalmente nella creazione di una bella storia, ho pensato di scrivere un regolamento veramente leggero a mio uso e consumo, soprattutto per coinvolgere giocatori non assidui o amici profani. Quello che è uscito fuori, un oggetto molto funzionale ai miei scopi, era qualcosa di simile a The Window: descrizioni a parole tradotte in un dado e orientamento a gestire le situazioni senza lanci. Se non ricordo male era basato su sole quattro caratteristiche, Mente, Fisico, Metafisico e Fortuna, che è tutto dire.
Successivamente, trascinato da due gruppi in altrettante campagne di D&D 3.0 (una come DM e l'altra come giocatore), mi sono davvero goduto le sessioni, rese avvincenti dall'approccio delle persone più che da altro, ma la mia perplessità sui regolamenti è rimasta. Tanto che alla proposta di passare a D&D 3.5 o 4.0 ho declinato o storto il naso, non vedendone alcuna necessità.
Ho divagato. Quello che volevo dire è come, negli ultimi anni, a questo Unico Gioco Sempre Uguale sia stato dato un nome: Parpuzio. Formalmente, su alcuni forum di appassionati, è stato definito così: Il Master dice cosa i personaggi vedono, sentono, percepiscono. I giocatori dicono al Master cosa vogliono fare i personaggi. Il Master dice loro come provarci (tirare dadi, scegliere carte, parlare in character, spendere punti - il metodo usato volta per volta è a discrezione del Master stesso, anche se generalmente manuali diversi consigliano sistemi diversi). Dopo che hanno tentato, il Master dice loro se ci riescono o meno, narra cosa succede e descrive le conseguenze.
Chiedo venia, non conosco l'ideatore della definizione, la vedo spesso citata senza capire esattamente chi sia l'autore, ma la trovo particolarmente calzante.