L'inverno era davvero duro in quella casa, a volte gli sembrava letteralmente impossibile scaldarla. Per non parlare dell'umidità proveniente dal giardino che attraversava le pareti come fosse un fantasma. Ma con l'arrivo della primavera cambiava tutto, pareva di vivere in un altro posto, in un piccolo paradiso. Il caldo afoso rimaneva sempre fuori dalla porta e la luce del sole illuminava i mobili, la siepe e il cortile propagandosi fin dentro al suo cuore. Erano proprio quelli i giorni in cui più spesso si sentiva felice e riscopriva l'interesse per le cose della vita, trovando l'entusiasmo per gettarsi nel mondo.
Anche lui sbocciava, come fosse un fiore.
giovedì 29 aprile 2010
martedì 27 aprile 2010
I Rom stanno a casa loro
Secondo i dati della European Roma Rights Centre, i Romanì presenti oggi in Italia sono circa 140.000 o poco più. Di questi oltre 70.000 hanno la nazionalità italiana perché appartenenti a famiglie giunte in Italia dal XV secolo. Dei restanti, si contano almeno 30.000 rumeni presenti in Italia da tempo (dagli anni 60), e circa 40.000 giunti in Italia a metà degli anni 90 in seguito alla guerra Jugoslava.
Per i 70.000 italiani non si può quindi parlare di "ritorno a casa loro" perché si trovano già nel loro paese in cui semplicemente rappresentano una piccola minoranza etnica. Di questi molti svolgono regolari attività, pagano le tasse e sono insediati nella società italiana. Un esempio è costituito dai circensi e dai giostrai, in larga misura Sinti, e quindi Romanì.
Per quanto riguarda gli altri, si tratta di migranti, molti dei quali da tempo insediati in Italia, che hanno rotto ogni legame con i luoghi d'origine ai quali probabilmente sarebbe per loro estremamente difficoltoso tornare. A scorrere i Rapporti del Consiglio Europeo, l'Italia sembra avere la maglia nera nella gestione della questione Rom. La lista delle "mancanze" italiane è lunghissima.
Contrariamente agli altri paesi della vecchia Europa, non abbiamo una politica certa sui documenti di identità e di soggiorno mentre in altri paesi, Rom e Sinti hanno la carta di soggiorno ed anche i passaporti.
Nonostante molti Rom e Sinti vivano in Italia da decenni, non hanno la cittadinanza, con il risultato che migliaia di bambini Rom nati in Italia risultano apolidi; gli stessi bambini non vanno a scuola e non hanno accesso all'educazione; non sono riconosciuti come minoranza linguistica.
L'Italia, soprattutto, continua ad insistere nell'errore di considerare queste persone nomadi segregandole in campi sprovvisti dei servizi e diritti basilari mentre sono persone a tutti gli effetti stanziali.
Per i 70.000 italiani non si può quindi parlare di "ritorno a casa loro" perché si trovano già nel loro paese in cui semplicemente rappresentano una piccola minoranza etnica. Di questi molti svolgono regolari attività, pagano le tasse e sono insediati nella società italiana. Un esempio è costituito dai circensi e dai giostrai, in larga misura Sinti, e quindi Romanì.
Per quanto riguarda gli altri, si tratta di migranti, molti dei quali da tempo insediati in Italia, che hanno rotto ogni legame con i luoghi d'origine ai quali probabilmente sarebbe per loro estremamente difficoltoso tornare. A scorrere i Rapporti del Consiglio Europeo, l'Italia sembra avere la maglia nera nella gestione della questione Rom. La lista delle "mancanze" italiane è lunghissima.
Contrariamente agli altri paesi della vecchia Europa, non abbiamo una politica certa sui documenti di identità e di soggiorno mentre in altri paesi, Rom e Sinti hanno la carta di soggiorno ed anche i passaporti.
Nonostante molti Rom e Sinti vivano in Italia da decenni, non hanno la cittadinanza, con il risultato che migliaia di bambini Rom nati in Italia risultano apolidi; gli stessi bambini non vanno a scuola e non hanno accesso all'educazione; non sono riconosciuti come minoranza linguistica.
L'Italia, soprattutto, continua ad insistere nell'errore di considerare queste persone nomadi segregandole in campi sprovvisti dei servizi e diritti basilari mentre sono persone a tutti gli effetti stanziali.
domenica 25 aprile 2010
Andar per fascisti
Oggi, che è il venticinque aprile, mi era venuta l'idea di fare come ai vecchi tempi, pigliar su spranghe e bastoni e andar per fascisti, solo che Gino mi fa:
- Sei matto, adesso giran tutti con la scorta, con l'auto blu, si rischia grosso.
(spinoza.it)
- Sei matto, adesso giran tutti con la scorta, con l'auto blu, si rischia grosso.
(spinoza.it)
martedì 20 aprile 2010
I Rom non rapiscono i bambini
Un'indagine condotta dalla Fondazione Migrantes, organizzazione della Cei che opera nei campi Rom, smentisce con decisione la percezione popolare della «zingara rapitrice».
Nei giorni della peste si gridava all'untore. Per secoli gli Ebrei sono stati incolpati di sacrificare bambini per riti di sangue. I Romanì invece sono ancora accusati di rapirli. Specialmente le donne, che indossando lunghe e larghe vesti potrebbero nascondere a meraviglia i piccoli gagè – cioè gli «altri», i non-Rom, rapiti alle loro madri in un mercato, in una via brulicante di persone o addirittura nella cameretta del neonato dopo esservi penetrate con una scusa.
Talvolta il «senso comune» contro la popolazione Romanì fa comodo per sviare le indagini su un delitto abominevole di pedofilia in famiglia o più banalmente per nascondere un incontro con l'amante. Questi non sono casi di fantasia e di colore narrativo. Gli spunti provengono dall'esame minuzioso e scientifico che Sabrina Tosi Cambini, ricercatrice dell'Università di Siena, ha condotto su quaranta casi di presunto sequestro o sparizione di minore, soffermandosi su sei di loro per i quali si è sviluppato un procedimento penale. "La zingara rapitrice" fa parte di una più ampia ricerca commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell'Università di Verona, cui hanno partecipato il Prof. Leonardo Piasere, quale direttore, e Carlotta Saletti Salza curatrice dello studio sugli affidamenti e adozioni di minori Rom o Sinti.
I casi sono stati individuati e analizzati partendo dall'archivio Ansa e arrivando alla consultazione dei fascicoli dei Tribunali, adottando, oltre a quella giuridica, più prospettive: etnografica, dell'antropologia giuridica ed etnometodologica. Il risultato principale è che non esiste nessun caso in cui si è commesso un rapimento. Nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell'infante effettivamente avvenuta e provata oggettivamente. Anche laddove si apre un processo, il fatto contestato è sempre qualificato come delitto tentato e non commesso, le cui circostanze aprono ad una complessa valutazione - all'interno della quale possono a volte far capolino le categorie del senso comune - dell'esistenza o meno della volontà dolosa. Comparando i casi studiati è possibile notare il ricorrere di poche variabili sia per quanto riguarda gli attori coinvolti che le dinamiche.
Nei giorni della peste si gridava all'untore. Per secoli gli Ebrei sono stati incolpati di sacrificare bambini per riti di sangue. I Romanì invece sono ancora accusati di rapirli. Specialmente le donne, che indossando lunghe e larghe vesti potrebbero nascondere a meraviglia i piccoli gagè – cioè gli «altri», i non-Rom, rapiti alle loro madri in un mercato, in una via brulicante di persone o addirittura nella cameretta del neonato dopo esservi penetrate con una scusa.
Talvolta il «senso comune» contro la popolazione Romanì fa comodo per sviare le indagini su un delitto abominevole di pedofilia in famiglia o più banalmente per nascondere un incontro con l'amante. Questi non sono casi di fantasia e di colore narrativo. Gli spunti provengono dall'esame minuzioso e scientifico che Sabrina Tosi Cambini, ricercatrice dell'Università di Siena, ha condotto su quaranta casi di presunto sequestro o sparizione di minore, soffermandosi su sei di loro per i quali si è sviluppato un procedimento penale. "La zingara rapitrice" fa parte di una più ampia ricerca commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell'Università di Verona, cui hanno partecipato il Prof. Leonardo Piasere, quale direttore, e Carlotta Saletti Salza curatrice dello studio sugli affidamenti e adozioni di minori Rom o Sinti.
I casi sono stati individuati e analizzati partendo dall'archivio Ansa e arrivando alla consultazione dei fascicoli dei Tribunali, adottando, oltre a quella giuridica, più prospettive: etnografica, dell'antropologia giuridica ed etnometodologica. Il risultato principale è che non esiste nessun caso in cui si è commesso un rapimento. Nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell'infante effettivamente avvenuta e provata oggettivamente. Anche laddove si apre un processo, il fatto contestato è sempre qualificato come delitto tentato e non commesso, le cui circostanze aprono ad una complessa valutazione - all'interno della quale possono a volte far capolino le categorie del senso comune - dell'esistenza o meno della volontà dolosa. Comparando i casi studiati è possibile notare il ricorrere di poche variabili sia per quanto riguarda gli attori coinvolti che le dinamiche.
domenica 18 aprile 2010
★ Sofia e i sindacalisti
- Ma non puoi fare nulla per la situazione in ufficio?
- E che altro dovrei fare? Quando c'era da farsi il culo me lo sono fatto, quando c'era da mettere i bastoni fra le ruote pure, poi lo sai come lavoro, non si è mai lamentato nessuno, anzi.
- Si, lo so, infatti è questa la cosa strana.
- Forse dovrei smettere di mandare affanculo i sindacalisti.
- Eddai, basta con queste parole a tavola che c'è Sofia!
- Hai ragione: scusa Sofia se ho detto "sindacalisti".
- E che altro dovrei fare? Quando c'era da farsi il culo me lo sono fatto, quando c'era da mettere i bastoni fra le ruote pure, poi lo sai come lavoro, non si è mai lamentato nessuno, anzi.
- Si, lo so, infatti è questa la cosa strana.
- Forse dovrei smettere di mandare affanculo i sindacalisti.
- Eddai, basta con queste parole a tavola che c'è Sofia!
- Hai ragione: scusa Sofia se ho detto "sindacalisti".
mercoledì 14 aprile 2010
Il maiale con lo smoking
Alla fine non è vero niente che il federalismo ci darà automaticamente meno spesa sperperata e più controllo su un fisco giusto ed equo e su una spesa oculata.
È esattamente il contrario, soprattutto in un Paese che non ha una cultura e un senso dello stato perché è uno Stato troppo recente. Ed è uno Stato, lo sappiamo bene, nato per iniziativa di una ristretta élite che di fatto ha imposto l'Unità d'Italia a un Paese che non la voleva.
Esattamente come poi una ristretta élite, chi di voi ha letto "Il ritorno del principe" di Roberto Scarpinato e Saverio Lodato lo sa, nel 1946-1948 ha imposto al paese una Costituzione molto più avanzata delle culture dominanti di quel Paese.
La nostra Costituzione è una specie di camicia di forza, è una specie di smoking elegantissimo messo indosso a un maiale. Che infatti, da sessantatre anni, sta cercando di liberarsi di principi altissimamente liberali come quelli contenuti nella nostra Costituzione.
(Marco Travaglio, Passaparola)
È esattamente il contrario, soprattutto in un Paese che non ha una cultura e un senso dello stato perché è uno Stato troppo recente. Ed è uno Stato, lo sappiamo bene, nato per iniziativa di una ristretta élite che di fatto ha imposto l'Unità d'Italia a un Paese che non la voleva.
Esattamente come poi una ristretta élite, chi di voi ha letto "Il ritorno del principe" di Roberto Scarpinato e Saverio Lodato lo sa, nel 1946-1948 ha imposto al paese una Costituzione molto più avanzata delle culture dominanti di quel Paese.
La nostra Costituzione è una specie di camicia di forza, è una specie di smoking elegantissimo messo indosso a un maiale. Che infatti, da sessantatre anni, sta cercando di liberarsi di principi altissimamente liberali come quelli contenuti nella nostra Costituzione.
(Marco Travaglio, Passaparola)
lunedì 12 aprile 2010
La pena di morte in Italia [01]
Non parlo di quella abolita da Leopoldo I Granduca di Toscana nel 1786. Né di quella scomparsa dai codici di procedura penale relativamente al tempo di pace nel 1947. E nemmeno di quella cancellata anche in tempo di guerra nel 1994.
Mi riferisco a questa pena di morte:
Mi riferisco a questa pena di morte:
- Pierpaolo Ciullo, 39 anni - 2 gennaio - carcere di Altamura, asfissia con gas;
- Celeste Frau, 62 anni - 4 gennaio - carcere Buoncammino di Cagliari, impiccagione;
- Antonio Tammaro, 28 anni - 7 gennaio - carcere di Sulmona, impiccagione;
- Giacomo Attolini, 49 anni - 8 gennaio - carcere di Verona, impiccagione;
- Abellativ Sirage Eddine, 27 anni - 14 gennaio - carcere di Massa, impiccagione;
- Mohamed El Aboubj, 25 anni - 16 gennaio - carcere S. Vittore di Milano, asfissia con gas;
- Ivano Volpi, 29 anni - 20 gennaio - carcere di Spoleto, impiccagione;
- Cittadino tunisino, 27 anni - 22 febbraio - carcere di Brescia, impiccagione;
- Vincenzo Balsamo, 40 anni - 23 febbraio - carcere di Fermo, impiccagione;
- Walid Aloui, 27 anni - 23 febbraio - carcere di Padova, impiccagione;
- Rocco Nania, 42 anni - 24 febbraio - carcere di Vibo Valentia, impiccagione;
- Roberto Giuliani, 47 anni - 25 febbraio - carcere di Rebibbia (Roma), impiccagione;
- Giuseppe Sorrentino, 35 anni - 7 marzo - carcere di Padova, impiccagione;
- Angelo Russo, 31 anni - 10 marzo - carcere di Poggioreale a Napoli, impiccagione;
- Detenuto italiano, 47 anni - 27 marzo - carcere di Reggio Emilia, asfissia on gas;
- Romano Iaria, 54 anni - 3 aprile - carcere di Sulmona, impiccagione;
- Detenuto italiano, 39 anni - 7 aprile - casa circondariale di Benevento.
impiccagione.
Nel 2010 sono già diciassette i detenuti morti suicidi in carcere. L'elenco è di Metilparaben, che lo tiene costantemente aggiornato.
mercoledì 7 aprile 2010
La pena di morte in Bielorussia [News 01]
Due uomini sono stati messi a morte in Bielorussia. Secondo fonti provenienti dal paese, Andrei Zhuk e Vasily Yuzepchuk sono stati uccisi a Minsk intorno al 18 marzo. Ora i familiari sperano nella restituzione dei corpi da parte delle autorità.
È stata la madre di Andrei Zhuk a ricevere da una guardia carceraria la notizia che il figlio, insieme all'uomo con cui condivideva la cella, era stato messo a morte. La comunicazione ufficiale dell'avvenuta esecuzione invece può arrivare dopo settimane o anche mesi.
I corpi dei condannati non vengono mai restituiti ai loro familiari per la sepoltura, ma sono invece sepolti in segreto in un luogo che non viene mai rivelato ai parenti. Inoltre, ai familiari non sono restituiti gli effetti personali dei condannati.
Amnesty International ha lanciato un appello per chiedere alle autorità bielorusse di restituire i corpi di Andrei Zhuk e Vasily Yuzepchuk alle loro famiglie per la sepoltura e per stabilire una moratoria immediata sull'uso della pena di morte.
La Bielorussia è l'unico paese in Europa che ancora utilizza la pena capitale. Nel 2009 non erano state eseguite condanne a morte. Il presidente Aleksandr Lukashenko, per anni isolato dalla comunità internazionale, è stato recentemente elogiato dal governo italiano.
È stata la madre di Andrei Zhuk a ricevere da una guardia carceraria la notizia che il figlio, insieme all'uomo con cui condivideva la cella, era stato messo a morte. La comunicazione ufficiale dell'avvenuta esecuzione invece può arrivare dopo settimane o anche mesi.
I corpi dei condannati non vengono mai restituiti ai loro familiari per la sepoltura, ma sono invece sepolti in segreto in un luogo che non viene mai rivelato ai parenti. Inoltre, ai familiari non sono restituiti gli effetti personali dei condannati.
Amnesty International ha lanciato un appello per chiedere alle autorità bielorusse di restituire i corpi di Andrei Zhuk e Vasily Yuzepchuk alle loro famiglie per la sepoltura e per stabilire una moratoria immediata sull'uso della pena di morte.
La Bielorussia è l'unico paese in Europa che ancora utilizza la pena capitale. Nel 2009 non erano state eseguite condanne a morte. Il presidente Aleksandr Lukashenko, per anni isolato dalla comunità internazionale, è stato recentemente elogiato dal governo italiano.
lunedì 5 aprile 2010
Invasioni di campo
Senza rientrare in una polemica che si è già fatta infinite volte su queste pagine, dico soltanto che la Chiesa in queste elezioni ha svolto la parte di una massa di spettatori che invade il campo da gioco mentre la partita è già in corso.
Nelle gare sportive, quando fatti del genere si verificano, l'arbitro sospende la partita e squalifica il campo di gioco. Nel nostro caso il campo di gioco è lo spazio pubblico riservato alla Chiesa per propagandare liberamente le sue idee ma non per tirare sassi e petardi contro i giocatori.
Questo ha invece fatto la Chiesa e questo comportamento avrebbe dovuto essere squalificato dalle autorità che rappresentano la laicità dello Stato. Ottenerlo da un governo come quello che ci sgoverna è impossibile, ma denunciarlo è necessario. Si somma alle infinite altre inadempienze e fa parte della sua necessità di legittimarsi di fronte alla Chiesa.
(Eugenio Scalfari, repubblica.it)
Nelle gare sportive, quando fatti del genere si verificano, l'arbitro sospende la partita e squalifica il campo di gioco. Nel nostro caso il campo di gioco è lo spazio pubblico riservato alla Chiesa per propagandare liberamente le sue idee ma non per tirare sassi e petardi contro i giocatori.
Questo ha invece fatto la Chiesa e questo comportamento avrebbe dovuto essere squalificato dalle autorità che rappresentano la laicità dello Stato. Ottenerlo da un governo come quello che ci sgoverna è impossibile, ma denunciarlo è necessario. Si somma alle infinite altre inadempienze e fa parte della sua necessità di legittimarsi di fronte alla Chiesa.
(Eugenio Scalfari, repubblica.it)
sabato 3 aprile 2010
La pena di morte in Giappone [News 01]
L'85,6% della popolazione giapponese è favorevole alla pena di morte. Questi i dati di un sondaggio del governo nipponico. Circa tremila gli intervistati, tutti con più di vent'anni di età.
Interessantissime le motivazioni alla base della scelta: il 54,1% del campione cita i sentimenti delle vittime e dei loro parenti che "non potrebbero trovare soddisfazione" in caso di abolizione, mentre il 53,2% ritiene che i responsabili di crimini atroci "debbano pagare con la propria vita". Il 51,5% degli intervistati, infine, sostiene che se la pena di morte venisse abolita si assisterebbe all'aumento dei crimini più gravi.
Rispetto allo stesso sondaggio effettuato nel 2004 c'è stato un incremento del 4,2% dei favorevoli alla pena di morte.
Solo il 5,7% ha dichiarato di essere contrario alla pena di morte e di questi la metà sostiene che i criminali debbano essere tenuti in vita e soffrire per ciò che hanno commesso.
Nonostante il netto schieramento della popolazione a favore della pena capitale, il nuovo governo a guida Democratica sta tentando di avviare una riflessione sul tema: il ministro della Giustizia, Keiko Chiba, storica sostenitrice di Amnesty International, ha assicurato che favorirà un dibattito pubblico e si muoverà con prudenza prima di prendere decisioni importanti.
Nel 2009 sono state sette le esecuzioni registrate in Giappone, quindici quelle nel 2008.
Interessantissime le motivazioni alla base della scelta: il 54,1% del campione cita i sentimenti delle vittime e dei loro parenti che "non potrebbero trovare soddisfazione" in caso di abolizione, mentre il 53,2% ritiene che i responsabili di crimini atroci "debbano pagare con la propria vita". Il 51,5% degli intervistati, infine, sostiene che se la pena di morte venisse abolita si assisterebbe all'aumento dei crimini più gravi.
Rispetto allo stesso sondaggio effettuato nel 2004 c'è stato un incremento del 4,2% dei favorevoli alla pena di morte.
Solo il 5,7% ha dichiarato di essere contrario alla pena di morte e di questi la metà sostiene che i criminali debbano essere tenuti in vita e soffrire per ciò che hanno commesso.
Nonostante il netto schieramento della popolazione a favore della pena capitale, il nuovo governo a guida Democratica sta tentando di avviare una riflessione sul tema: il ministro della Giustizia, Keiko Chiba, storica sostenitrice di Amnesty International, ha assicurato che favorirà un dibattito pubblico e si muoverà con prudenza prima di prendere decisioni importanti.
Nel 2009 sono state sette le esecuzioni registrate in Giappone, quindici quelle nel 2008.
giovedì 1 aprile 2010
★ Prima Metafora Abusata - Il treno
Era un bel po' che camminava, passando da un posto all'altro senza pensare troppo e godendosi le sensazioni che ne venivano. Di tanto in tanto aveva provato qualcosa di fastidioso, ma niente che intaccasse la tranquillità generale. E così non si era nemmeno reso conto che le persone che incontrava e le vetrine che guardava fossero quelle della stazione: era stato solo il fischio del treno, ormai prossimo alla banchina, che lo aveva fatto rendere conto di dove si trovasse.
Non aveva niente appresso, solo qualche soldo, il tabacco e un giacchetto pesante che si era tolto per via del caldo. Eppure l'immagine del treno che rallentava, i viaggiatori che si avvicinavano per salire, un controllore incauto che lo aveva spinto verso le porte lo avevano quasi convinto a saltar su. Così, tanto per vedere dove sarebbe arrivato stavolta e se gli avrebbero fatto la multa perché non aveva il biglietto.
Ma il ricordo dei viaggi passati e delle brutte stazioni in cui era stato costretto a scendere gli restituirono quel pizzico di lucidità che aveva perso. A guardarle da vicino le carrozze non erano poi tanto belle, e oltretutto il treno viaggiava con un considerevole ritardo. Così fece qualche passo indietro, prese un fazzoletto di carta e lo agitò in segno di saluto mentre ripartiva.
Non aveva niente appresso, solo qualche soldo, il tabacco e un giacchetto pesante che si era tolto per via del caldo. Eppure l'immagine del treno che rallentava, i viaggiatori che si avvicinavano per salire, un controllore incauto che lo aveva spinto verso le porte lo avevano quasi convinto a saltar su. Così, tanto per vedere dove sarebbe arrivato stavolta e se gli avrebbero fatto la multa perché non aveva il biglietto.
Ma il ricordo dei viaggi passati e delle brutte stazioni in cui era stato costretto a scendere gli restituirono quel pizzico di lucidità che aveva perso. A guardarle da vicino le carrozze non erano poi tanto belle, e oltretutto il treno viaggiava con un considerevole ritardo. Così fece qualche passo indietro, prese un fazzoletto di carta e lo agitò in segno di saluto mentre ripartiva.
martedì 30 marzo 2010
lunedì 29 marzo 2010
Il fattoide
La parola fattoide è stata coniata dallo scrittore Norman Mailer, che con essa intendeva indicare qualcosa che prima di comparire su un giornale o in tv non esiste.
Oggi telegiornali e programmi televisivi diffondono abbastanza frequentemente fattoidi. Un aspetto importante su cui riflettere è che essi possono influenzare le scelte politiche e di consumo.
La capacità persuasiva dei fattoidi deriva da tre fattori:
Oggi telegiornali e programmi televisivi diffondono abbastanza frequentemente fattoidi. Un aspetto importante su cui riflettere è che essi possono influenzare le scelte politiche e di consumo.
La capacità persuasiva dei fattoidi deriva da tre fattori:
- difficilmente si fa qualcosa per constatare la veridicità di fattoidi trasmessi dalla televisione o dai mass media;
- la gratificazione che deriva dall'accettazione di un fattoide prevale sulla possibilità di metterlo in discussione. Spesso discutere di un fattoide è divertente e ci dà la possibilità di dimostrare quanto siamo informati;
- i fattoidi creano la realtà. Vengono usati per costruire la nostra immagine del mondo. Essi vengono utilizzati per controllare la nostra attenzione e per fornirci una chiave di lettura della realtà.
Un fattoide, anche quando si è dimostrato falso, può continuare ad influenzare i nostri comportamenti.
(
domenica 28 marzo 2010
★ Io voto Nonna Papera
Vivi in Lombardia, volevi Civati e ti hanno dato Penati?
Vivi nel Lazio e sei costretto a scegliere tra chi proponeva di abrogare l'Articolo 18 e chi difende le aziende dai lavoratori?
Vivi in Campania e ti sorprende l'assenza del candidato Gambadilegno?
Fai come me, vai al seggio e sulla scheda scrivi: "Io voto Nonna Papera". Almeno lei sa fare le crostate e non imbuca Ciccio a Strasburgo. Nemmeno se è un suo parente.
Vivi nel Lazio e sei costretto a scegliere tra chi proponeva di abrogare l'Articolo 18 e chi difende le aziende dai lavoratori?
Vivi in Campania e ti sorprende l'assenza del candidato Gambadilegno?
Fai come me, vai al seggio e sulla scheda scrivi: "Io voto Nonna Papera". Almeno lei sa fare le crostate e non imbuca Ciccio a Strasburgo. Nemmeno se è un suo parente.
venerdì 26 marzo 2010
Gli esiliati della tv
Lo Zimbabwe televisivo nel quale ci ha precipitato l'ossessione del premier ha toccato nella settimana elettorale il massimo di squallore. Alla vigilia del voto, i principali tg pubblici e privati, ormai entrambi di Berlusconi, sembravano cinegiornali dell'Istituto Luce.
La ponderatissima Autorità si è vista costretta a multare per centomila euro il Tg1 e il Tg5 a causa dell'evidente sproporzione di spazi dedicati al partito del premier rispetto all'opposizione. In crisi nei sondaggi, incapace ormai di riempire le piazze reali, Berlusconi ha deciso di occupare per intero la piazza mediatica, con un vero e proprio golpe televisivo. Per arrivare a questo risultato, ha dovuto stravolgere le regole come mai in precedenza, con una complicità strisciante della corte. La par condicio è stata tirata come un elastico fino a esplodere nella censura totale dei programmi scomodi. La natura mollemente governativa del Tg1 è stata geneticamente mutata fino a trasformarlo in una specie di supplemento video dei pieghevoli elettorali. Una vergogna mai toccata in mezzo secolo di Rai. Il principale telegiornale pubblico usato come un manganello contro la metà del Paese che non vota Berlusconi e che pure paga il canone, gli stipendi dei giornalisti galoppini e ora anche le salate multe procurate dalla loro mancanza di dignità professionale. Per tutte queste vicende, del resto, Berlusconi è indagato dalle procure per concussione e minacce.
Il tocco finale di grottesco è arrivato ieri sera con la puntata di Annozero costretta all'esilio sul web e sul satellite. La serata del Paladozza è stata bella e gioiosa, a parte qualche caduta di stile, ma rischia di essere consolatoria. Non basta qualche ora d'aria per evadere da questo carcere televisivo. È meglio non farsi illusioni su un rapido ritorno alla normalità, dopo le elezioni. Sia pure alla strana, anomala normalità del panorama dell'informazione italiana. C'è un disegno disperato ma preciso dietro l'occupazione governativa della piazza mediatica. La solita voglia autoritaria di arrivare allo stato d'eccezione permanente. La tentazione di cambiare il patto fra i cittadini, la Costituzione stessa, a colpi di gazebo e di televisione. L'ultimo, ma minaccioso, colpo di coda di un populismo ormai al capolinea.
(Curzio Maltese, repubblica.it)
La ponderatissima Autorità si è vista costretta a multare per centomila euro il Tg1 e il Tg5 a causa dell'evidente sproporzione di spazi dedicati al partito del premier rispetto all'opposizione. In crisi nei sondaggi, incapace ormai di riempire le piazze reali, Berlusconi ha deciso di occupare per intero la piazza mediatica, con un vero e proprio golpe televisivo. Per arrivare a questo risultato, ha dovuto stravolgere le regole come mai in precedenza, con una complicità strisciante della corte. La par condicio è stata tirata come un elastico fino a esplodere nella censura totale dei programmi scomodi. La natura mollemente governativa del Tg1 è stata geneticamente mutata fino a trasformarlo in una specie di supplemento video dei pieghevoli elettorali. Una vergogna mai toccata in mezzo secolo di Rai. Il principale telegiornale pubblico usato come un manganello contro la metà del Paese che non vota Berlusconi e che pure paga il canone, gli stipendi dei giornalisti galoppini e ora anche le salate multe procurate dalla loro mancanza di dignità professionale. Per tutte queste vicende, del resto, Berlusconi è indagato dalle procure per concussione e minacce.
Il tocco finale di grottesco è arrivato ieri sera con la puntata di Annozero costretta all'esilio sul web e sul satellite. La serata del Paladozza è stata bella e gioiosa, a parte qualche caduta di stile, ma rischia di essere consolatoria. Non basta qualche ora d'aria per evadere da questo carcere televisivo. È meglio non farsi illusioni su un rapido ritorno alla normalità, dopo le elezioni. Sia pure alla strana, anomala normalità del panorama dell'informazione italiana. C'è un disegno disperato ma preciso dietro l'occupazione governativa della piazza mediatica. La solita voglia autoritaria di arrivare allo stato d'eccezione permanente. La tentazione di cambiare il patto fra i cittadini, la Costituzione stessa, a colpi di gazebo e di televisione. L'ultimo, ma minaccioso, colpo di coda di un populismo ormai al capolinea.
(Curzio Maltese, repubblica.it)
martedì 23 marzo 2010
Il guaritore
(stavo per fare un post su questa ennesima vergogna, ma Gramellini è stato più veloce e ovviamente più bravo)
L'altra sera, girovagando fra i canali, mi sono imbattuto in un volto ispirato che, dal palco di una piazza, inneggiava all'amore e urlava: entro il 2013 vogliamo vincere il cancro. Giuro, diceva proprio così. Vo-glia-mo vin-ce-re il can-cro. Non la disoccupazione. E nemmeno lo scudetto. Il cancro, «che ogni anno colpisce 250 mila italiani». Sulle prime ho sperato fosse il portavoce del professor Veronesi e ci stesse annunciando uno scoop mondiale. Così ho telefonato a uno dei 250 mila, un caro amico che combatte con coraggio la sua battaglia, e gli ho dato la grande notizia. Come no?, ha risposto, adesso però ti devo lasciare perché sono a cena con Vanna Marchi.
Ho degli amici molto spiritosi. Mi auguro che tutti i malati e i loro parenti la prendano allo stesso modo. E anche tutti i medici che in ogni angolo del pianeta si impegnano per raggiungere quell'obiettivo. In Italia con qualche problema in più, dato che il governo che entro tre anni intende vincere il cancro ha ridotto i fondi per la ricerca scientifica. Vorrei sorriderne, come il mio amico. Ma stavolta non ci riesco. Ho perso i genitori e tante persone care a causa di quel male. E allora: passi per le barzellette, le favole e persino le balle. Fa tutto parte del campionario di iperboli del bravo venditore e il pubblico ormai è assuefatto allo show. Ma anche a un'alluvione bisogna mettere un argine. Bene, per me il cancro rappresenta quell'argine. Non è: un milione di posti di lavoro. Non è: meno tasse per tutti. Il cancro è una cosa seria. E lui, che lo ha avuto e lo ha vinto, dovrebbe saperlo.
(Massimo Gramellini, Buongiorno)
L'altra sera, girovagando fra i canali, mi sono imbattuto in un volto ispirato che, dal palco di una piazza, inneggiava all'amore e urlava: entro il 2013 vogliamo vincere il cancro. Giuro, diceva proprio così. Vo-glia-mo vin-ce-re il can-cro. Non la disoccupazione. E nemmeno lo scudetto. Il cancro, «che ogni anno colpisce 250 mila italiani». Sulle prime ho sperato fosse il portavoce del professor Veronesi e ci stesse annunciando uno scoop mondiale. Così ho telefonato a uno dei 250 mila, un caro amico che combatte con coraggio la sua battaglia, e gli ho dato la grande notizia. Come no?, ha risposto, adesso però ti devo lasciare perché sono a cena con Vanna Marchi.
Ho degli amici molto spiritosi. Mi auguro che tutti i malati e i loro parenti la prendano allo stesso modo. E anche tutti i medici che in ogni angolo del pianeta si impegnano per raggiungere quell'obiettivo. In Italia con qualche problema in più, dato che il governo che entro tre anni intende vincere il cancro ha ridotto i fondi per la ricerca scientifica. Vorrei sorriderne, come il mio amico. Ma stavolta non ci riesco. Ho perso i genitori e tante persone care a causa di quel male. E allora: passi per le barzellette, le favole e persino le balle. Fa tutto parte del campionario di iperboli del bravo venditore e il pubblico ormai è assuefatto allo show. Ma anche a un'alluvione bisogna mettere un argine. Bene, per me il cancro rappresenta quell'argine. Non è: un milione di posti di lavoro. Non è: meno tasse per tutti. Il cancro è una cosa seria. E lui, che lo ha avuto e lo ha vinto, dovrebbe saperlo.
(Massimo Gramellini, Buongiorno)
venerdì 19 marzo 2010
La palestra del cervello
Con una scelta in palese controtendenza, a Versailles hanno aperto la prima palestra per il cervello. All'ufficio-iscrizioni non prevedono code. L'obiettivo è rafforzare la capacità di concentrazione degli esseri umani. Ho cercato di leggere la notizia fino in fondo, ma a metà della seconda frase è suonato il telefono, sono arrivate due mail, un collega è entrato nella mia stanza e in tv il Fulham ha fatto il quarto gol alla Juve. Restare fermi su qualsiasi oggetto per più di un nanosecondo è ormai diventato un gesto contro natura. Le interruzioni pubblicitarie durante i film erano una coltellata, adesso le aspettiamo come da ragazzi la campanella alla fine delle lezione. A teatro ho visto persone battere nervosamente i piedi dopo appena un quarto d'ora: e non perché lo spettacolo fosse brutto, ma per l'incapacità di seguire il filo del discorso (la nuova unità di misura della nostra mente è lo spot).
Ecco, dopo gli strappi, le pause, le discese ardite e le risalite, sono infine giunto al culmine della notizia: la palestra curerà il cervello attraverso i libri. Che bella scoperta. Solo la lettura muove i muscoli dell'astrazione e i meccanismi arrugginiti della riflessione. Ma per funzionare ha bisogno di non essere interrotta continuamente dagli stimoli superficiali e invadenti della realtà. Vittorio Alfieri si faceva legare a una sedia per scrivere. Noi, di questo passo, per leggere. Il cervello è un amante esclusivo. Si riaccende solo quando spegni tutto il resto.
(Massimo Gramellini, Buongiorno)
Ecco, dopo gli strappi, le pause, le discese ardite e le risalite, sono infine giunto al culmine della notizia: la palestra curerà il cervello attraverso i libri. Che bella scoperta. Solo la lettura muove i muscoli dell'astrazione e i meccanismi arrugginiti della riflessione. Ma per funzionare ha bisogno di non essere interrotta continuamente dagli stimoli superficiali e invadenti della realtà. Vittorio Alfieri si faceva legare a una sedia per scrivere. Noi, di questo passo, per leggere. Il cervello è un amante esclusivo. Si riaccende solo quando spegni tutto il resto.
(Massimo Gramellini, Buongiorno)
mercoledì 17 marzo 2010
Mediaset è una cosa mia
Il Parlamento aveva votato la legge Gasparri e l'aveva trasmessa a Ciampi per la firma di promulgazione. Presentava, agli occhi del Capo dello Stato, svariati e seri motivi di incostituzionalità e mortificava quel pluralismo dell'informazione che è un requisito essenziale in una democrazia e sul quale, appena qualche mese prima, Ciampi aveva inviato al Parlamento un suo messaggio.
La colazione era da poco iniziata quando Ciampi informò il suo ospite del suo proposito di rinviare la legge alle Camere, come la Costituzione lo autorizza a fare motivando le ragioni del rinvio e i punti della legge da modificare. Berlusconi non si aspettava quel rinvio. Si alzò con impeto e alzò la voce dicendo che quella era una vera e propria pugnalata alla schiena.
Ciampi (così il suo racconto) restò seduto continuando a mangiare ma ripeté che avrebbe rinviato la legge al Parlamento. L'altro gli gridò che la legge sarebbe stata comunque approvata tal quale e rinviata al Quirinale e aggiunse: "Ti rendi conto che tu stai danneggiando Mediaset e che Mediaset è una cosa mia? Tu stai danneggiando una cosa mia".
A quel punto si alzò anche Ciampi e gli disse: "Questo che hai appena detto è molto grave. Stai confessando che Mediaset è cosa tua, cioè stai sottolineando a me un conflitto di interessi plateale. Se avessi avuto un dubbio a rinviare la legge, adesso ne ho addirittura l'obbligo". "Allora tra noi sarà guerra e sei tu che l'hai voluta. Non metterò più piede in questo palazzo".
Uscì con il fido Letta. Ciampi rinviò la legge. Il premier per sei mesi non mise più piedi al Quirinale.
(Eugenio Scalfari, La Repubblica)
La colazione era da poco iniziata quando Ciampi informò il suo ospite del suo proposito di rinviare la legge alle Camere, come la Costituzione lo autorizza a fare motivando le ragioni del rinvio e i punti della legge da modificare. Berlusconi non si aspettava quel rinvio. Si alzò con impeto e alzò la voce dicendo che quella era una vera e propria pugnalata alla schiena.
Ciampi (così il suo racconto) restò seduto continuando a mangiare ma ripeté che avrebbe rinviato la legge al Parlamento. L'altro gli gridò che la legge sarebbe stata comunque approvata tal quale e rinviata al Quirinale e aggiunse: "Ti rendi conto che tu stai danneggiando Mediaset e che Mediaset è una cosa mia? Tu stai danneggiando una cosa mia".
A quel punto si alzò anche Ciampi e gli disse: "Questo che hai appena detto è molto grave. Stai confessando che Mediaset è cosa tua, cioè stai sottolineando a me un conflitto di interessi plateale. Se avessi avuto un dubbio a rinviare la legge, adesso ne ho addirittura l'obbligo". "Allora tra noi sarà guerra e sei tu che l'hai voluta. Non metterò più piede in questo palazzo".
Uscì con il fido Letta. Ciampi rinviò la legge. Il premier per sei mesi non mise più piedi al Quirinale.
(Eugenio Scalfari, La Repubblica)
lunedì 15 marzo 2010
La nomina
L'episodio concernente la nomina dei tre giudici della Consulta nella quota che la Costituzione riserva al Presidente della Repubblica, avvenne nella sala della Vetrata del Quirinale. Erano presenti il segretario generale del Quirinale, Gifuni, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. I temi da discutere erano due: i rapporti con la Commissione europea di Bruxelles dove il premier doveva recarsi per risolvere alcuni importanti problemi e la nomina dei tre giudici.
Esaurito il primo argomento Ciampi estrasse da una cartella i tre provvedimenti di nomina e comunicò a Berlusconi i nomi da lui prescelti. Berlusconi obiettò che voleva pensarci e chiese tempo per riflettere e formulare una rosa di nomi alternativa. Ciampi gli rispose che la scelta, a termini di Costituzione, era di sua esclusiva spettanza e che la firma del presidente del Consiglio era un atto dovuto che serviva semplicemente a certificare in forma notarile che la firma del Capo dello Stato era autentica e avvenuta in sua presenza. Ciò detto e senza ulteriori indugi Ciampi prese la penna e firmò passando i tre documenti a Berlusconi per la controfirma.
A quel punto il premier si alzò e con tono infuriato disse che non avrebbe mai firmato non perché avesse antipatia per i nomi dei giudici ma perché nessuno poteva obbligarlo a sottoporsi ad una scelta che non derivava da lui, fonte unica di sovranità perché derivante dal popolo sovrano.
La risposta di Ciampi fu gelida: "I documenti ti verranno trasmessi tra un'ora a Palazzo Chigi. Li ho firmati in tua presenza e in presenza di due testimoni qualificati. Se non li riavrò immediatamente indietro da te controfirmati sarò costretto a sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale. "Ti saluto" rispose altrettanto gelidamente Berlusconi e uscì dalla Vetrata seguito da Letta. In serata i tre atti di nomina tornarono a Ciampi debitamente controfirmati.
(Eugenio Scalfari, La Repubblica)
Esaurito il primo argomento Ciampi estrasse da una cartella i tre provvedimenti di nomina e comunicò a Berlusconi i nomi da lui prescelti. Berlusconi obiettò che voleva pensarci e chiese tempo per riflettere e formulare una rosa di nomi alternativa. Ciampi gli rispose che la scelta, a termini di Costituzione, era di sua esclusiva spettanza e che la firma del presidente del Consiglio era un atto dovuto che serviva semplicemente a certificare in forma notarile che la firma del Capo dello Stato era autentica e avvenuta in sua presenza. Ciò detto e senza ulteriori indugi Ciampi prese la penna e firmò passando i tre documenti a Berlusconi per la controfirma.
A quel punto il premier si alzò e con tono infuriato disse che non avrebbe mai firmato non perché avesse antipatia per i nomi dei giudici ma perché nessuno poteva obbligarlo a sottoporsi ad una scelta che non derivava da lui, fonte unica di sovranità perché derivante dal popolo sovrano.
La risposta di Ciampi fu gelida: "I documenti ti verranno trasmessi tra un'ora a Palazzo Chigi. Li ho firmati in tua presenza e in presenza di due testimoni qualificati. Se non li riavrò immediatamente indietro da te controfirmati sarò costretto a sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale. "Ti saluto" rispose altrettanto gelidamente Berlusconi e uscì dalla Vetrata seguito da Letta. In serata i tre atti di nomina tornarono a Ciampi debitamente controfirmati.
(Eugenio Scalfari, La Repubblica)
giovedì 11 marzo 2010
Iscriviti a:
Post (Atom)