sabato 7 agosto 2010

Cinque miti sulla pena di morte negli USA [04]

La pena di morte funziona

I fautori del sistema attualmente in vigore insistono sul fatto che la pena di morte scoraggi la criminalità e garantisca che gli assassini ricevano la sanzione più adeguatamente retributiva.

Può verificarsi il caso in cui alcuni sistemi che contemplano la pena di morte si mostrino efficaci dal punto di vista della deterrenza: Singapore prevede la pena di morte obbligatoriamente per traffico di droga e impicca i trasgressori spesso e rapidamente; in Cina, migliaia di criminali sono messi a morte ogni anno, molti per corruzione e reati economici. Ma nessuna nazione pubblica le statistiche sul legame tra i crimini e le sanzioni, per cui non abbiamo modo di avere una risposta certa. Però è difficile credere che la pena di morte, così come è gestita attualmente negli Stati Uniti, possa essere un mezzo efficace per scoraggiare l'omicidio - l'unico crimine per cui è comminata.

Lo scorso anno ci sono stati più di 14.000 omicidi negli USA, ma solo 106 condanne a morte. Le probabilità, per un criminale, di essere catturato, processato e condannato a morte è irrisoria. Dei condannati, il 66% per cento vede la condanna a morte ribaltata in appello o durante la revisione della sentenza (secondo i dati del Death Penalty Information Center, negli ultimi trent'anni è stato esonerato un numero minore di detenuti - 139 - circa una dozzina dei quali grazie alla prova del DNA). I pochi trasgressori che vengono messi a morte attendono l'esecuzione mediamente per più di dodici anni, altri fino a trenta. Nulla di tutto questo è sinonimo di rapida o sicura dissuasione, né di efficace punizione retributiva. Il ritardo prolungato differisce e attenua qualsiasi sentimento di soddisfazione o "conclusione" che l'esecuzione potrebbe comportare.

(David Garland,
"Five myths about the death penalty")

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