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Gli USA non sono al passo con l'Europa e col resto dei paesi occidentali
Questa affermazione è vera riguardo a un aspetto importante: a differenza che in Europa, negli Stati Uniti esiste la pena di morte, seppure non in piena regola.
Dal 1981, quando la Francia ha abbandonato definitivamente la ghigliottina (le persone venivano ancora decapitate alla fine degli anni ’70) l'Europa è un continente libero dalla pena di morte e i cronisti indicano un "profondo divario" tra quest'ultima e gli Stati Uniti. Ma questo forte contrasto è fuorviante. Per la maggior parte degli ultimi duecento anni, gli Stati Americani si sono dimostrati all'avanguardia nella riforma della pena di morte. Il Michigan ha abolito la pena capitale per tutti i reati ordinari nel 1846, un secolo prima delle molte Nazioni Europee che hanno fatto lo stesso. Gli Stati del Nord sono stati dei precursori nell'imporre il divieto di esecuzione pubblica. Gli Stati Uniti hanno guidato gli sforzi per sviluppare delle tecniche di esecuzione meno dolorose, sostituendo l'impiccagione prima con la sedia elettrica, poi con la camera a gas e infine con l'iniezione letale. Da tutti questi punti di vista gli Stati Uniti non si sono dimostrati diversi rispetto alle altre nazioni occidentali.
È solo negli ultimi trent'anni che si è allargato il divario, con gli Stati Europei che hanno abolito l'istituto della pena capitale e quelli Americani che lo hanno mantenuto, seppure in una forma attenuata.
(David Garland, "Five myths about the death penalty")
Gli USA sono uno stato-simbolo della pena di morte
In realtà, attualmente, gli USA utilizzano la pena di morte in modo limitato. Quindici Stati e il Distretto di Columbia hanno abolito la pena capitale. Dei restanti trentacinque Stati mantenitori, un terzo raramente emette condanne a morte e un altro terzo commina condanne a morte, ma di rado le esegue. In molti Stati, le uniche persone messe a morte sono una sorta di "volontari" - detenuti nel braccio della morte che abbandonano quel processo di appello che potrebbe tenerli in vita. Al momento l'ottanta per cento delle esecuzioni avvengono negli Stati della Confederazione iniziale e la maggior parte di esse in Texas. Inoltre le condanne a morte sono diminuite negli ultimi anni. Uno dei motivi è che gli Stati conferiscono la facoltà di prescrivere il carcere a vita. Un altro è che i pubblici ministeri spiegano alle famiglie delle vittime come sia preferibile perseguire una pena detentiva invece della pena capitale: in questo modo non dovranno seguire negli anni l'evoluzione del caso e le udienze in cui l'assassino si recherà in tribunale cercando di ottenere una commutazione della sentenza.
(David Garland, "Five myths about the death penalty")
Ricordi, caro Ostellino? Eravamo liberali in anni non sospetti, nel mitico Sessantotto, quando i liberali (anche quelli illuminati) venivano presi a pomodori in faccia, se non peggio. Ci siamo formati entrambi al Centro Einaudi di Torino, sui testi di Isaiah Berlin, di Raymond Aron, di Karl Popper, di Ralf Dahrendorf. E sai che ti dico? Dopo tanti anni e tanti voltafaccia non mi sono mai pentito, non rinnego nulla. Come te, resto convinto che la democrazia liberale, per dirla con Churchill, sia il peggiore dei sistemi politici a eccezione di tutti gli altri, e che non abbia alternative al di fuori di qualche forma, più o meno larvata, di tirannide. Niente e nessuno potrebbe convincermi del contrario.
Ma devo confessarti una cosa: se mi viene ogni tanto qualche tentazione di cambiare idea, buttandomi tra le braccia dei pochi bolscevichi superstiti, è proprio leggendo i tuoi articoli.
Ieri per esempio, nella tua rubrica sul Corriere, spiegavi ai lettori cocciutamente statalisti che prendersela con i "ricchi evasori" è sintomo di pregiudizio ideologico e di invidia sociale. "Fra le libertà del liberalismo – spiegavi – c'è anche quella di arricchirsi [...]. Una volta che lo Stato abbia provveduto a che sia offerta a tutti l'uguaglianza delle opportunità di farsi valere, saranno capacità e meriti a decretare il successo di ciascuno".
Scusa Piero, ma a questo punto mi domando se tu ed io abbiamo letto gli stessi libri. Mi sembrava di si, evidentemente sbagliavo. I grandi teorici del liberalismo, se non ricordo male, ci hanno insegnato che la libertà economica è un presupposto necessario della democrazia politica, ma non sufficiente. Se è vero che dove manca la libertà di intraprendere nessuno è libero, non è sempre vero il contrario: basti pensare alle tigri asiatiche o alla Russia di Putin, regimi autocratici dove gli imprenditori sono liberi di fare quattrini e di sfruttare gli operai, ma i cittadini non possono protestare e la stampa è imbavagliata. Anche la Cina popolare ha riconosciuto la proprietà privata e il diritto di arricchirsi, ma non direi che si possa definire uno Stato liberaldemocratico.
E l'Italia? Secondo te, come si fa a discettare astrattamente di uguaglianza delle opportunità, di libero mercato e di concorrenza in un paese dominato dalle oligarchie, dalle caste e dalle corporazioni protette, dove il presidente del Consiglio è un monopolista prosperato all'ombra del potere politico e grazie alle concessioni governative, e dove una cupola affaristica si spartisce gli appalti delle opere pubbliche senza regole né trasparenza? Un paese che ha il primato europeo dell'evasione fiscale, più di Romania e Bulgaria, e dove i nullatenenti viaggiano in Cayenne? Un paese che in larghe porzioni del suo territorio è controllato dalla criminalità organizzata, in cui per gestire non diciamo un'industria, ma un negozietto, devi pagare il pizzo ai mafiosi? Non è la Svizzera, caro Piero, o l'America delle leggi antitrust e della galera per Madoff. A Dio piacendo, non è neppure la Bielorussia o qualche altro residuo baluardo del socialismo reale.
"In Italia – scrivi – il reazionario Bersani parla ancora di 'politiche di redistribuzione' [...]. Così l'ideale dell'invidioso sociale non è il miglioramento delle condizioni di vita per tutti, ma il peggioramento di quelle di chi guadagna di più". Il Leviatano "livellatore verso il basso" (sic). Ma dove sarebbe, caro Piero, questo mostro hobbesiano? Tu vivi, buon per te, gran parte dell'anno in un'amena regione della Francia meridionale, dove l'amministrazione napoleonica ti fa dimenticare le angherie di quello che tu chiami lo Stato canaglia: se facessi un giretto nel nostro Sud, più che 'a livella (come diceva Totò, riferendosi peraltro all'uguaglianza tombale) vedresti osceni dislivelli di reddito che di meritocratico hanno ben poco. A emergere, da queste parti, non sono i Bill Gates, ma gli Anemoni. E il vero Leviatano è la Piovra che allunga i suoi tentacoli fino alla Milano dell'Expo. Siamo d'accordo: nella Carta dei diritti liberali è inclusa la libertà di arricchirsi. Non però quella di rubare.
(Riccardo Chiaberge, "Il Fatto Quotidiano")
Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Certe persone devono fare proprio una vita di merda. Il mio tabaccaio per esempio. Io non fumo molto, vado a comprare una bustina di tabacco all'incirca una volta al mese, anche più raramente. L'Old Holborn, uno dei più cari, costa meno di cinque euro, quindi il resto è composto da qualche moneta e, eventualmente, alcune banconote. Insomma, ho notato che quando pago con un pezzo da venti, il laido mi dà il resto in due tempi: prima le monete e la banconota da cinque; poi aspetta qualche secondo e, visto che sono ancora lì, si gira di nuovo verso la cassa e mi dà anche la banconota da dieci. Così, tanto per vedere se per la fretta mi dimentico e può mettersela in tasca lui. Ormai ci vado apposta con un pezzo da venti, mi diverte proprio vedere la solita scena patetica.
C'era un paese che si reggeva sull'illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente, cioè chiedendoli a chi li aveva in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori, in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo di una sua autonomia.
Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna, ciò che era fatto nell'interesse del gruppo era lecito, anzi benemerito, in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l'illegalità formale, quindi, non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transazione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l'illecito che, per la morale interna del gruppo era lecito, portava con sé una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene, il privato che si trovava ad intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro di aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva, senza ipocrisia, convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.
Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale, alimentato dalle imposte su ogni attività lecita e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Poiché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta, ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse), la finanza pubblica serviva ad integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune si erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse, che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza di atto di forza (così come in certe località all'esazione da parte dello Stato si aggiungeva quella di organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori, pur provando anziché il sollievo del dovere compiuto, la sensazione sgradevole di una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.
Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva di applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino ad allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché di soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse di un regolamento di conti di un centro di potere contro un altro centro di potere. Così che era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle guerre tra interessi illeciti oppure se i tribunali, per legittimare i loro compiti istituzionali, dovessero accreditare l'idea che anche loro erano dei centri di potere e di interessi illeciti come tutti gli altri.
Naturalmente, una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale, che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche si inserivano come un elemento di imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.
In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che usavano quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge e, con un ben dosato stillicidio d'ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini illustri e oscuri, si proponevano come l'unica alternativa globale del sistema. Ma il loro effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile e ne confermavano la convinzione di essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla.
Così tutte le forme di illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci, si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto, dunque, dirsi unanimemente felici gli abitanti di quel paese se non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.
Erano, costoro, onesti, non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici, né sociali, né religiosi, che non avevano più corso); erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso, insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno al lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione di altra persone.
In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto, gli onesti erano i soli a farsi sempre gli scrupoli, a chiedersi ogni momento che cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che riscuotono troppo facilmente l'approvazione di tutti, in buona o in mala fede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (o almeno quel potere che interessava agli altri), non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.
Dovevano rassegnarsi all'estinzione? No, la loro consolazione era pensare che, così come in margine a tutte le società durate millenni s'era perpetuata una controsocietà di malandrini, tagliaborse, ladruncoli e gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare "la" società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante ed affermare il proprio modo di esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un'immagine libera, allegra e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa di essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos'è.
(Italo Calvino, pubblicato su "la Repubblica" del 15 marzo 1980)
«Coltivo e ho un mio sogno familiare: mi sento circondato da affetto, l'ho sentita all'epoca quella forma d'affetto e mi basta. Se non torna più, pace, io ho i miei sogni per riviverla. Anzi, molto meglio così, sto bene così. La situazione precipita».
(Federico Fiumani)
Il dibattito fra il senatore Ceccanti e il direttore Padellaro in merito all'emendamento, poi ritirato, che il Pd aveva presentato al lodo Alfano, solleva un problema più generale sull'intransigenza in politica.
Dalle argomentazioni del senatore Ceccanti emerge che, mentre la volontà e gli sforzi a limitare i danni che produrrebbero cattive leggi sarebbero segno di lodevole responsabilità politica, l'intransigenza che porta al rifiuto di emendare cattive leggi perché non accetta il dialogo con questo governo sarebbe una semplice testimonianza e, come tale, politicamente inefficace.
La verità è che, nella situazione in cui ci troviamo, la testimonianza intransigente è invece più razionale e responsabile della volontà di accordo.
Il sacro dovere di rispondere no quando si ha di fronte un potere enorme corrotto e corruttore che ha fatto e fa della devastazione dei principi della vita repubblicana la sua ragion d'essere e che chiunque conosca anche solo superficialmente l'abc del liberalismo giudicherebbe ripugnante e combatterebbe con tutte le sue forze, la testimonianza coerente dell'intransigenza incoraggia, stimola e rafforza fra i cittadini la volontà di lotta e di riscatto, prima condizione di una possibile vittoria.
L'intransigenza dice a coloro che sono convinti della necessità di opporsi che non sono soli, conquista il rispetto dei dubbiosi e, soprattutto, invita a tornare all'impegno i molti che si sono allontanati perché convinti della futilità dei loro sforzi.
Tutti questi effetti dell'intransigenza sono assai rilevanti dal punto di vista politico. Non solo consolidano il consenso (che è un risultato da non sottovalutare mai!) ma lo estendono. Cittadini convinti della bontà delle loro idee si impegnano a convincerne altri e in tal modo le forze dell'’opposizione crescono mentre si assottigliano quelle che sostengono il potere del signore.
Ragioniamo in termini di pura efficacia politica: è più utile, sottolineo utile, rendere, in maniera quasi impercettibile, migliore una pessima legge, o presentarsi con l'autorevolezza di chi può dire: io con quei signori non ho nulla a che fare? Quando il realismo non convince, i difensori del realismo politico, che è il criterio che mi guida in questo ragionamento, hanno sempre invocato, quale supremo giudice dei comportamenti politici, i risultati concreti. Parlino i fatti: possono, i sostenitori della politica del male minore, citare qualche esempio convincente che la loro iniziativa è stata efficace a diminuire il potere di Silvio Berlusconi e della sua corte?
L'errore di cattivo realismo che i fautori del male minore continuano a commettere è di non capire che una cosa è essere all'opposizione rispetto a governi come quelli, per citare ovvi esempi, guidati dalla Democrazia cristiana, in Italia, o da Margaret Thatcher in Inghilterra o da Helmut Kohl in Germania, un'altra è esserlo rispetto ai governi guidati da un uomo che ha elevato alla carica di ministro Cesare Previti e ha fatto senatore della Repubblica Marcello Dell'Utri.
Suggerisco ai realisti nostrani la lettura dell'opera del vero maestro di realismo politico, Francesco Guicciardini, che ammoniva a non seguire in politica regole generali e ad adattare la propria condotta ai tempi e ai luoghi con "discrezione". Orbene, l'Italia dei nostri tempi è l'esempio perfetto di una situazione in cui l'intransigenza è razionale e la ricerca del male minore e dell'accordo è irrazionale. Di politici cauti e "ragionevoli" ce ne sono fin troppi, quel che manca è un grande politico che sappia ispirare e far capire, con la sua intransigenza, che vuole costruire davvero un'alternativa al dominio del signore e della sua corte.
(Maurizio Viroli)
Non sono un giornalista, questo Blog altro non è che uno spazio in cui riporto quello che mi colpisce, spesso ignorando se possa davvero interessare qualche internauta di passaggio. Eppure due righe su quanto sta accadendo a largo della Louisiana devo scriverle.
È il 20 aprile 2010 e siamo nel Golfo del Messico, a ottanta chilometri dalla costa. Durante la realizzazione di un pozzo petrolifero sottomarino, sulla piattaforma Deepwater Horizon c'è un'esplosione da cui scaturisce un incendio. Undici persone muoiono all'istante e altre diciassette rimangono ferite. La piattaforma è affittata alla British Petroleum dalla Transocean, che l'ha acquistata dalla coreana Hyundai Heavy Industries nel 2001.
Le fiamme si rivelano impossibili da domare e il 22 aprile la struttura si inabissa. Le valvole sottomarine di sicurezza non funzionano e il petrolio continua a fuoriuscire dal pozzo. Il ritmo di sversamento sale vertiginosamente, a metà giugno è stimato fra i cinque e i dieci milioni di litri al giorno: prendendo come riferimento un cestello di acqua in bottiglia da sei, mediamente ogni giorno si riversa in mare l'equivalente di un milione e mezzo di cestelli. No, in effetti è impossibile riportare questi numeri al quotidiano per farsi un'idea.
Secondo le dichiarazioni di un operaio sopravvissuto all'esplosione, la British Petroleum era a conoscenza dei problemi nel sistema di sicurezza. Fosse vero non me ne stupirei, non scendo mica dalla montagna del sapone. A proposito dell'incidente allo stabilimento ThyssenKrupp di Torino, nella sua relazione, uno dei consulenti tecnici al processo ha scritto: "In ultima analisi, lo scrivente si stupisce come l'evento incidentale che ha causato la morte dei sette operai si sia verificato con tale ritardo, viste le condizioni in cui funzionava l'impianto, ovvero in palese violazione di ogni norma di sicurezza". Amen.
La vicenda può essere approfondita facilmente in rete, la documentazione non manca, quindi con le informazioni mi fermo qui.
Ho iniziato dicendo che sul mio Blog riporto semplicemente quello che mi colpisce. Ecco, di questa storia mi colpiscono due cose. La prima è che mentre scrivo il petrolio continua a finire in mare, ma nell'ultimo mese l'attenzione dei media è stata catturata dai Mondiali di calcio in Sudafrica. La seconda è la faccia di bronzo con cui i boss della British Petroleum hanno dichiarato: "Pagheremo tutto". Credere di poter rimediare a una simile catastrofe con i soldi è senza dubbio frutto di un modo di pensare deviato, appannaggio di chi, come orizzonte delle proprie azioni, ha quello della sua vita. Gente che ragiona in questo modo è molto, molto pericolosa.
- Che bello questo montgomery, non te lo avevo mai visto.
- Si, in effetti non lo metto spesso, però piace molto anche a me.
- Poi con quella sciarpetta sembri proprio un intellettuale.
- Io sono un intellettuale.
- Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed e già, oltre Roma...
(Leonardo Sciascia, "Il giorno della civetta")
Kevin Fine, giudice distrettuale del Texas, ha programmato un'udienza in un caso di pena di morte per valutare se vi sia il rischio concreto che la legislazione inerente la pena capitale nel Texas possa causare la messa a morte di un innocente. L'udienza, che dovrebbe protrarsi per due settimane, probabilmente beneficerà delle testimonianze di esperti provenienti da tutto il paese.
Casey Kiernan, uno degli avvocati dell'imputato John Green, ha presentato una mozione pre-processuale riguardante la questione di innocenza che ha portato all'udienza. Kiernan, che ha richiesto che la legislazione del Texas sulla pena di morte sia dichiarata incostituzionale, ha affermato: "Credo che tutti negli Stati Uniti possano convenire sul fatto che esista la possibilità [per una persona innocente] di essere messa a morte. Sulla base di vari proscioglimenti e delle difficoltà intrinseche della medicina legale noi riteniamo che vi sia molto più di una possibilità".
Gli avvocati della difesa hanno in programma di sollevare anche altre questioni, tra cui l'affidabilità dei testimoni oculari.
L'udienza avrà inizio l'8 novembre. Il giudice Fine inizialmente aveva accordato la data antecedente di marzo, ritenendo egli stesso la legislazione sulla pena capitale in Texas incostituzionale proprio per la possibilità di mettere a morte un innocente. Tuttavia ha modificato la propria decisione in modo che più argomentazioni possano essere presentate da entrambe le parti.
Kari Allen, procuratore del distretto cui fa capo il processo, ha affermato di non essere contraria ad un esame della costituzionalità della legge sulla pena di morte. Tuttavia, dallo stesso dipartimento, è stata presentata una mozione che chiede di rimuovere il giudice Fine dal caso, accusandolo di essere prevenuto contro la pena capitale. Mozione negata dal giudice designato a esaminarla, che ha affermato che l'imparzialità di Fine è fuori discussione.
In Texas vi è un forte sostegno alla pena di morte, ma l'uso della pena capitale è stato recentemente messo in dubbio a valle di due casi controversi.
La teoria del Ciccio si enuncia così: "La bestemmia è la forma più alta di preghiera".
Non ci avevo mai pensato, ma dopo averla sentita ho trovato da solo la spiegazione. In sostanza, siccome si maledice la divinità incolpandola di avvenimenti nefasti, implicitamente le si riconosce la capacità di influenzare il corso degli eventi e quindi l'onnipotenza.
Chissà se il pastore tedesco è d'accordo.
Silvia mia lasciò perché a suo dire
non amavo mai abbastanza i suoi piedi.
Guarda ragazzina stai sbagliando
io mi stavo preparando per comprarti il meglio.
Calde polacchine per l'inverno
poi d'estate ci scommetto
più son nudi e son meglio.
Io che mi vantavo in privato
di conoscere ogni loro segreto...
Dolci d'estate come fiori marciti
piedi un po' salati come pane sfornato d'inverno.
Silvia che non era mai contenta
se io non li accarezzavo per un'ora almeno.
Lei che nelle storie precedenti
si era sempre accontentata giusto di un letto di pulci.
Ha ragione Vasco
quando dice che una donna non perdona
se la fai più importante di te.
Io che mi vantavo in privato
di conoscere ogni loro segreto...
Dolci d'estate come fiori marciti
piedi un po' salati come pane sfornato d'inverno.
(Diaframma)
[Listen on YouTube: Ai piedi di Silvia]